First Man Opera 3a di Damien Chazelle
Il regista che si è fatto conoscere nel 2014 con Whiplash, per poi vincere nel 2016 ben 6 statuette con l’indimenticabile La La Land, torna, per la seconda volta, ad aprire la 75. Mostra del Cinema di Venezia con “First Man”.
La musica, da sempre protagonista dei suoi film, ora passa in secondo piano, prendendo la forma della memoria del protagonista, diventando il fil rouge dei suoi momenti introspettivi più intimi.
Il film diretto da Damien Chazelle vede, nel ruolo dell’astronauta Neil Armstrong, l’attore Ryan Gosling affiancato da Claire Foy nel ruolo della moglie.
Con First Man, per la prima volta si affronta il tema dell’allunaggio non soltanto sotto il profilo storico-politico ma soprattutto da un punto di vista umano.
Infatti Chazelle sceglie una cifra più introspettiva, dipingendo con tratti delicati la figura dell’uomo Neil Armstrong, le emozioni e le fragilità che ha saputo convertire in una missione oltre ogni capacità umana.
A differenza delle sue precedenti opere, di cui è stato anche sceneggiatore, questa volta Chazelle si affida al Premio Oscar Josh Singer, i cui fiori all’occhiello sono titoli come “Il caso Spotlight”, “The Post” e “Il quinto potere”.
Nonostante ciò e nonostante la presenza di Steven Spielberg nonché dello stesso sceneggiatore tra i produttori esecutivi, il regista è riuscito a far prevalere in First Man il suo tratto distintivo trasformando la pellicola nel delicato viaggio introspettivo di un uomo, di un marito, di un padre sensibile che, dopo la morte della propria bambina, decide di non arrendersi e di seguire il suo ambizioso progetto candidandosi alla selezione per il programma spaziale.
Ritroviamo il tocco di Chazelle nelle inquadrature e nell’attenzione ai dettagli.
Nell’iniziale costante presenza della fede nuziale al dito di Armstrong, che va via via affievolendosi man mano che il suo rapporto con la famiglia si raffredda, fino a diventare quasi “ingombrante” nel momento in cui è costretto ad assumersi la responsabilità della sua decisione nei confronti dei figli.
Lo ritroviamo anche nella scelta stilistica di una cucina che sembra rappresentare il cuore dell’astronauta in cui, all’inizio, fa entrare la propria famiglia per poi, alla fine, ritrovarcisi solo a seguito di una serie di lutti che lo portano ad allontanarsi dalle persone che ama nel tentativo di proteggersi dal dolore e di non perdere la lucidità per non compromettere il raggiungimento della missione.
Damien Chazelle decide fin dalla prima sequenza di farci vivere in prima persona i tentativi di superare i confini dell’uomo attraverso il respiro affannato, lo scricchiolio, il clangoredei bulloni e le vibrazioni della navicella spaziale.
Allo spettatore viene concesso di diventare Neil astronauta provando le sue stesse sensazioni in volo, ma non di vestire i suoi panni nella sua vita privata.
Durante la conferenza stampa il regista ha spiegato:
“La mia generazione è cresciuta in un mondo in cui l’idea di conquista dello “spazio” era già successa. Un’immagine iconica che ha reso molto semplice e scontato tutto quello che c’è stato per raggiungerla”, continua Chazelle ”Ho capito davvero cos’erano le navicelle dell’epoca visitando i musei. Erano così piccole, sembravano delle lattine volanti. Ho cercato di far percepire la sensazione dello spazio vuoto e del nero oltre gli occhi degli astronauti, del viaggio e della ricerca di un luogo dove atterrare. E di far capire i sacrifici fatti dalle varie persone per rendere il tutto possibile”.
Un film, per noi, da non perdere. Voto 10.