Pablo Larraín, noto per la sua abilità nel trasportare sul grande schermo le vite di figure iconiche e tormentate, con “Maria” ci offre una visione intima e potente degli ultimi giorni di Maria Callas, la più grande cantante lirica del XX secolo. Con Angelina Jolie nei panni della Divina, il film si avventura tra le pieghe più nascoste dell’animo umano, esplorando il dualismo intrinseco che ha sempre caratterizzato la vita di Callas: la donna e l’artista, Maria e la Callas.
Larraín non sceglie una narrazione lineare, ma costruisce il film attraverso frammenti di vita, ricordi, e soprattutto di musica. L’inizio del film è emblematico: siamo subito catapultati nel 16 settembre 1977, nell’appartamento parigino di Avenue George Mandel, dove la cantante muore a 53 anni. Il silenzio della scena iniziale, rotto solo dalle immagini malinconiche, sembra volerci far immergere immediatamente nella tragedia che è stata la vita di Maria Callas. Ma, come suggeriscono le parole di Pier Paolo Pasolini citate nel film, solo attraverso la morte si può comprendere veramente il senso della vita di una persona.
La regia di Larraín, sempre elegante e calibrata, si avvale di un uso sapiente del bianco e nero e di una pellicola volutamente sgranata, che rievoca l’atmosfera degli anni Settanta, conferendo al film un’aura di nostalgica autenticità. Le scene di repertorio rigirate con Angelina Jolie al posto di Callas non sono solo omaggi alla cantante, ma veri e propri momenti di riscrittura cinematografica, dove la finzione si mescola alla realtà, creando un effetto straniante e affascinante.
Jolie, in un ruolo che sembra cucito su misura per lei, incarna con intensità e fragilità l’essenza di Maria Callas. La sua interpretazione non è solo un esercizio di mimesi, ma un tentativo di afferrare l’anima complessa di una donna che viveva in bilico tra la gloria e la solitudine, tra l’amore e la tragedia. Il canto, che nel film arriva a tratti quasi come un balsamo, è la chiave per comprendere il caos interiore di Maria, e non a caso la scena in cui Casta Diva risuona, è uno dei momenti più toccanti del film.
Il cast di supporto, con Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, aggiunge ulteriore profondità al racconto, contribuendo a creare un quadro corale che riflette le diverse sfaccettature della vita della Callas. Favino, in particolare, brilla in un ruolo intenso e sofferto, che ben si sposa con l’atmosfera crepuscolare del film.
“Maria” non è solo un biopic; è un’opera che, attraverso la vita di una delle figure più affascinanti e controverse del secolo scorso, esplora temi universali come l’identità, la sofferenza e la ricerca della perfezione. Larraín riesce a evitare le trappole del melodramma, offrendo invece un ritratto delicato e potente di una donna che ha vissuto la sua vita come un’opera d’arte, tra alti vertiginosi e profondi abissi. Un film che non solo celebra la figura di Maria Callas, ma che invita a riflettere sulla complessità dell’animo umano.